Cari amici,

gli effetti della quarantena si fanno sentire anche sulle modalità operative seguite fino ad oggi dai nostri padrini e madrine.

Il primo a capire la necessità di dover ripensare la strategia è Carlos Lombardi che a Los Horneros sta guardando al da farsi, ponendo massima attenzione all’essenziale e imprescindibile, che in questo momento è la necessità di concentrarsi sull’assistenza agli adulti. Perché gli adulti? Perché a differenza dei bambini che hanno capacità di adattamento a nuove condizioni e a diversi modi di condividere, gli adulti sono cristallizzati sulle linee guida sociali esistenti pre covid. Accudendo i bambini è emerso con evidenza che la loro sia la miglior risposta, mentre sugli adulti ci sia ancora da lavorare. Carlos, ancora una volta, sta dimostrando la sua lungimiranza, non solo assistendo le famiglie che sono rimaste senza lavoro e senza risorse economiche, ma anche affrontando la situazione da un altro punto di vista. Quello di pensare Los Horneros come una comunità aperta alla realtà che lo circonda, per offrire nuove possibilità, a partire da una scuola dove ci sia interazione tra educatori, bambini e, quindi, famiglie. Dove educazione e pedagogia, nonostante o grazie al covid, riescano a dare una spinta alle coscienze per far capire e sentire che può esserci un mondo migliore.

In Brasile la situazione è variabile, ma non sembra destinata a volgere al meglio in tempi brevi. Barbara Olivi, dalla favela di Rochina ci racconta che, pur continuando a fare quello che più amano, stare cioè dalla parte dei bambini, sentono che le loro energie si stanno esaurendo. Passata la prima fase compulsiva, subentra adesso la preoccupazione per il futuro remoto, sul come prepararsi ad affrontarlo, sul come e cosa cambiare.

La volontà di poter continuare a porgere alimenti a chi non ha nulla da mettere in tavola, non manca. C’è autonomia per un altro ciclo di “cestas básicas” (con alimenti e prodotti per l’igiene e la pulizia), ma c’è anche la consapevolezza che le cose andranno ancora per le lunghe. 

Perché il virus, non demorde, anche se la città sta riaprendo tutto poco alla volta e la gente va al lavoro su mezzi pubblici sovraffollati, senza alcun rispetto di regole o misure di sicurezza.  E le persone continuano a morire. Ad aggravare la situazione, anche il solito problema dei narcotrafficanti, delle feste notturne ostensive e provocatorie che istigano la polizia ad intervenire.

In Kenya, nello slum di Mukuru, Chiara Camozzi e il suo gruppo si sono scontrati con le stesse problematiche dell’Argentina. Le attività del Wajukuu Art Projec, in periodo Covid, sono state per la maggior parte interrotte, ma la distribuzione di cesti con alimenti e prodotti igienici ha permesso agli operatori di mantenere “agganciati” i bambini e le loro famiglie. Cogliendo in tutta evidenza le difficoltà dei genitori nel prendersi cura dei propri figli e, ancora di più, lo stress mentale con cui gli adulti non hanno saputo convivere. È emersa anche la loro totale mancanza di informazioni sulla pandemia, l’assenza di conoscenza delle più semplici norme di comportamento e di gestione, fino all’assoluta “ignoranza” di chi è arrivato a pensare che il Covid sia una punizione mandata dagli Dei perché il popolo possa pentirsi. Miti e idee sbagliate che vanno smontate con informazioni affidabili, supporto terapeutico a livello mentale ed emotivo, servizi essenziali per combattere la diffusione del virus. Soprattutto e prima di tutto, serve però cibo da fornire alle famiglie che, non lavorando, non hanno la possibilità di comprarlo e di mangiare.