È tempo di riconnettersi con la speranza. Proprio per questo motivo, oggi voglio raccontarvi una storia nuova.

La settimana dal 22 al 28 febbraio, sono stata in Somalia, invitata dal CISP, una ONG che da anni lavora in Africa, a tenere un seminario rivolto a profughi di guerra e a persone che rivestono un ruolo sociale. Da 30 la Somalia è dilaniata da una cruentissima guerra civile. Il seminario si è svolto in una sede protetta, all’interno dell’aeroporto e ha visto la partecipazione di capi di campi profughi e persone che rivestono ruoli sociali che si confrontano quotidianamente con emergenze estreme.

Insieme abbiamo fatto un lavoro di trasformazione. Erano tutte persone ferite, nel corpo, con cicatrici fisiche visibili e nell’anima, troppo abituati a vivere nella paura. Tanto da non riuscire nemmeno a chiudere gli occhi, per abbandonarsi al rilassamento della meditazione. Insieme sono riusciti a trasformare la paura e lasciare andare i traumi con cui hanno sempre convissuto, per accedere ad uno stato creativo. Insieme si sono mossi dall’impossibilità di cambiare qualche cosa verso una visione aperta alla possibilità di immaginare un futuro diverso. Un futuro che parte dall’impegno di ognuno a fare le piccole cose, lasciandosi guidare con estrema fiducia.

Dopo 5 giornate di lavoro, sono usciti con l’idea di un progetto concreto da realizzare nelle singole comunità. Questo è stato reso possibile perché si sono agganciati ad una nuova visione, hanno lasciato andare l’esperienza passata del trauma della paura e hanno aperto cuore e mente alla possibilità. Si è creata una straordinaria comunione tra persone diverse per sesso, età, appartenenza a clan rivali, che si sono tenute per mano riconnettendosi con un sistema più alto, con una fede verso la possibilità che dall’oscurità possa, comunque, nascere qualcosa di luminoso. Sono stati testimoni, uno per l’altro, dei progetti che stavano creando. Come nel caso del capo di un campo profughi, che ha visualizzato il modo per ottenere latta e legno per costruire le baracche e portare la sua gente fuori dalla condizione in cui vivono, senza acqua e cibo. 

Lavorare in questo modo e in quelle condizioni, in cui nel silenzio della meditazione si sentivano i rumori dei carri armati, è stato un insegnamento straordinario. Se tutti noi riuscissimo ad agganciarci alla parte più alta, la parte migliore, che non si concretizza sulla separazione, sul “mors tua, vita mea”, e riuscissimo a capire che tutti quanti insieme possiamo fare qualcosa di più, forse riusciremmo ad affrontare questo momento di difficoltà che stiamo vivendo con uno spirito solidale, connesso, che aiuterebbe tutti quanti noi ad uscirne più forti, migliori e con la consapevolezza di aver compreso qualcosa di molto importante: che non possiamo vivere sconnessi dagli altri e dal sistema più alto.

Micaela Vannucchi